Notizie Radicali
  il giornale telematico di Radicali Italiani
  martedì 19 settembre 2006
 Direttore: Gualtiero Vecellio
I preti in cattedra (33)

di Luigi Rodelli

Qualunque sia il giudizio che si voglia dare sull’esame di Stato dal punto di vista pedagogico e sociale, una legge intesa a darne una migliore disciplina dovrà garantire soprattutto la efficienza del sistema, eliminando gli abusi del potere esecutivo (favoritismi e discriminazioni nella scelta degli esaminatori, istruzioni ministeriali tendenti a stornare la vigilanza dei commissari da ciò che avviene nelle scuole private), ridare fiducia nella serietà e utilità delle prove e non offrire nuovi incentivi al ribasso degli studi e alla speculazione delle scuole private (31)

 

I diritti della famiglia sono il leit motif della pubblicistica cattolica. Nei diritti della famiglia i cattolici cercano il punto d’appoggio di cui aveva bisogno Archimede per sollevare il mondo. Dice la Costituzione.

 

La Repubblica riconosce i diritti della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio (articolo 29,1).

 

Se questo riconoscimento scalfisse la poziorità della legge costituzionale e significasse prevalenza sull’ordinamento giuridico dello Stato di diritto anteriori al sorgere di questo medesimo ordinamento giuridico, i cattolici potrebbero tranquillamente sovvertire la Costituzione e tutto il sistema del diritto pubblico italiano. Ma i diritti della famiglia trovano i loro limiti invalicabili nell’interesse generale della collettività. In vista di questo interesse generale la Costituzione dice.

 

E’ dovere e diritto dei genitori mantenere, istruire ed educare i figli, anche se nati fuori del matrimonio. Nei casi di incapacità dei genitori, la legge provvede a che siano assolti i loro compiti (art. 30,1-2).

 

Gli articoli 29 3 30 vanno interpretati con l’art.3, che fissa il concetto kantiano dello Stato, ente che sorge a tutela dell’individuo al di sopra di ogni “distinzione di religione” e di condizioni personali e sociali, e con l’art.33, che attribuisce alla Repubblica il compito di dettare le norme generali sull’istruzione e di istituire scuole statali di ogni ordine e grado. Nella società moderna la sfera della vita della famiglia tende ad accogliere ed assimilare quei fattori ambientali che provengono dal rapido trasformarsi delle condizioni generali della vita sociale. Il diritto-dovere dei genitori a mantenere, istruire ed educare i figli tende ad integrarsi sempre più col diritto-dovere della collettività ad assolvere nel modo migliore alla funzione vitale di immettere, con preparazione adeguata, le nuove generazioni nel circolo del lavoro, dell’economia e del progresso sociale.

 

Ma quando i principi generali e le conquiste del pensiero e della storia non garbano, si ricorre agli argomenti spiccioli e si chiede aiuto alla scienza dell’amministrazione. Si dà allora per dimostrato - come fa l’on.Resta – che i diritti della famiglia e le finalità etico-giuridiche dello Stato coincidano senz’altro con i “valori etici di cui la chiesa è portatrice” e si scopre che la Costituzione non avrebbe fatto altro che adottare il principio della “coesistenza competitiva” delle scuole, per arrivare a sostenere che l’istituto della “parità” equivale alla “licenza per l’esercizio di vendita al pubblico”! (32). Applicando con troppo candore il criterio dell’analogia, là dove la diversa natura dei campi non lo consente, l’on.Resta ha fabbricato il grimaldello di cui avevano bisogno i gesuiti per scassinare la Costituzione e sovvertire le basi della nostra tradizione scolastica, da essi tacciata di “totalitarismo”. Scrive il gesuita Giampietro:

 

il 1 gennaio 1948 è entrata in vigore la nuova Costituzione italiana: il che significa che fino al 31 dicembre 1947 lo Stato italiano aveva il monopolio sulla scuola e sull’educazione: a stento la famiglia era riuscita a ottenere scarsissimi riconoscimenti dei suoi, pur sacrosanti diritti; più a stento ancora la Chiesa, con il Concordato e le relative leggi di applicazione di esso, aveva ottenuto alcune eccezioni all’imperante totalitarismo, in difesa dei diritti della stragrande maggioranza dei cattolici italiani (33).

 

Tutte le volte che nella Costituzione e nelle leggi si incontra l’espressione “diritto della famiglia”, i gesuiti leggono come se fosse scritto “diritto divino della famiglia”. Per la chiesa infatti la famiglia è un istituto di diritto divino e perciò ricade sotto la giurisdizione della chiesa, non importa se il legislatore civile non lo abbia detto né presupposto, non importa che le finalità etico-sociali dello Stato, di cui parla la Costituzione, non siano subordinate a quelle della chiesa (né i principi fondamentali della Costituzione agli articoli del Concordato); un interprete cattolico deve interpretare così, con tutte le conseguenze che se ne possono trarre. Estendete questo principio di interpretazione teologica alle discipline giuridiche, storiche e morali e all’ermeneutica dei testi letterari e avrete subito un quadro della serietà scientifica e del valore educativo della scuola cattolica. Il papa ha detto recentemente ai giuristi cattolici che la fonte legislativa statale non basta a creare un vero diritto! Che cosa ne pensano i cattolici che, in qualità di giudici, fanno parte della Corte Costituzionale? Sono prima giudici e poi cattolici o prima cattolici e poi giudici?

 

31) Il progetto preparato dal ministero e presentato dal ministro Rossi nella passata legislatura non era tale da eliminare questi inconvenienti. V. Guido Calogero, Scuola sotto inchiesta, cit. pp.216 e segg.

32) Raffaele Resta, La Costituzione e le nuove leggi scolastiche, in “Bollettino dell’Istituto Cattolico per l’Educazione”, gennaio 1957.

33) Bollettino, cit., genn. 1957, p.1.

 

33) Segue